Mostra del pittore Nicola Marotta
La mostra, dal titolo 'L'occhio inconscio' resterà aperta fino al 10 Luglio nei locali dell'ex Centrale Elettrica in via De Gasperi
Sabato 11 giugno alle ore 18.30, presso l'Ex centrale elettrica di Ozieri, alla presenza del Sindaco, dell'Assessore alla cultura e del Presidente della Istituzione "San Michele", è stata inaugurata la mostra di Nicola Marotta dal titolo "L'occhio inconscio".
L'iniziativa è stata fortemente voluta dall'Amministrazione Comunale e dall'Istituzione San Michele per dare una continuità d'uso ai locali dell'Ex Centrale Elettrica, individuata come la sede ideale per ospitare la Pinacoteca Comunale.
Quasi a sottolineare la volontà di destinare il bellissimo edificio a ospitare mostre temporanee e permanenti l'11 giugno, contestualmente alla mostra di Nicola Marotta, è stata inaugurata la "Sala Giuseppe Altana", che accoglie l'esposizione permanente delle opere dell'artista ozierese.
Negli ambienti suggestivi dell'Ex centrale elettrica le opere di Nicola Marotta intendono creare un forte dialogo con gli spazi industriali della struttura. Le macchine entrano in contatto con la sua opera, in uno scambio di dati e informazioni.
L'allestimento intende, nelle opere di grande dimensione collocate nelle sale maggiori, creare un nuovo paesaggio, tra le preesistenze industriali e la pittura di Marotta, che fonda un'inestricabile relazione tra archeologia, ambiente e territorio.
Nelle sale più piccole il visitatore incontrerà una pittura più privata e personale.
Lo spazio dell'architettura e quello artistico si uniscono in questo sguardo inconscio, interno, che rilegge il Novecento per riscoprire se stesso. Tra macchine e desiderio la mostra offre uno sguardo sul lavoro artistico di Nicola Marotta, elaborato in Sardegna in quasi cinquant'anni.
L'allestimento della mostra è curato dall'architetto Antonello Marotta; il progetto grafico del catalogo è a cura dell'architetto Luana Gugliotta. Sito web: www.nicolamarotta.it
L'occhio inconscio
Nicola Marotta si colloca nel filone della pittura italiana; sin dalla prima giovinezza assorbe la cultura greco romana che gli deriva, essendo campano, dalla città e dal territorio dove vive e studia: Napoli e i paesi vesuviani.
Nella prima formazione, negli anni Cinquanta e Sessanta, apprende un modo di guardare il passato con occhi nuovi, attraverso una concezione moderna, quella delle avanguardie storiche innestate in una tradizione più antica.
Questa nuova coscienza diverrà un filtro attraverso il quale intraprendere il suo futuro artistico. Con il tempo, la sua cultura formativa si decanterà a tal punto che rimangono in vita solo i valori pittorici, al di là del racconto oggettivo della pittura occidentale.
Un consuntivo che Marotta può fare avendo un considerevole passato trascorso alle spalle.
Predilige la composizione pre umanistica, quella dell'assenza della prospettiva, che gli consentirà una composizione libera da condizionamenti oggettivi e descrittivi, a favore di un racconto atemporale, a volte, concettuale.
Possiamo citare le opere come gli Hortus conclusus, gli Avversari immaginari e reali, gli Amanti, le Lettere d'amore: un gioco a volte ironico, e autoironico, sempre alla ricerca di quel corto circuito che determina lo straniamento, il ritrovarsi in situazioni inattese e coinvolgenti. Un classicismo che viene interrogato e messo in discussione.
Questa formazione classica diverrà il telaio attraverso il quale Marotta valuta e guarda tutti i movimenti artistici contemporanei, ai quali aderisce per portarli dentro un alveo "comune"; nascono così opere quali: Alea, Foglie transgeniche, Aisthesis, Rocchi di ulivo colonna, 11 settembre, Calcoli per costruire l'universo.
Oggi, a distanza di tempo, quello che interessa della sua pittura non è tanto l'aspetto figurale delle sue composizioni, ampiamente indagato dalla critica con una certa chiarezza, quanto il suo metodo di lavoro, il suo approccio.
Marotta è un artista "concettuale", mentale, che ha messo a frutto una sua ricerca, come bene scrive Klaus Hemmerle, genetica, ma che al contempo si declina e si specifica in più ambiti di ricerca, che si possono sintetizzare come: archeologico, ambientale, e del sublime.
Sono campi che s'intrecciano uno nell'altro, che s'inseguono e si scambiano le parti e i ruoli.
Si può asserire che la geografia delle sue opere sia una cartografia inconscia, che consente di scrivere e riscrivere le stesse lettere, non le parole, le lettere, in quanto è nella composizione di queste che avviene il senso dell'opera, non certamente in una interpretazione solo letterale o figurale.
L'opera di Nicola Marotta richiede un ascolto personale, che la possa avvicinare a quello stadio dell'essere (umano) che costantemente richiede un riconoscimento, una certezza d'identificazione.
È attratto dagli eteronimi pessoani, dalle identit` plurime, dalle strutture mentali, astratte, che vivono nella mente di un autore che invoca il suo duplicato, offrendogli una vita reale e una coscienza, almeno letteraria.
Saranno state le sue letture di Luigi Pirandello, di Bertold Brecht, di Franz Kafka, di Bernard Shaw, a cui ha dedicato opere negli anni Settanta, ed ancora di Fernando Pessoa, di Josè Saramago a orientarlo in una visione che parla dell'uomo, e lo fa con il peso della coscienza.
Letterature dure e incerte per soggetti reali e drammatici, isolati nella loro ragione che indaga, percepisce, scruta con ingegno e razionalità il mondo. Eppure da questa ragione nella sua pittura rimane il vuoto, la lacuna, le parti perdute di un mondo forse da ricostruire.
Queste lacune, visibili costantemente nel suo lavoro, come aree mancanti del quadro, negli anni emergono come la parte più viva e intensa del suo operare.
Le ha certamente viste, lette e rilette nella sua mente di giovane artista, che si recava al Museo Nazionale di Napoli per studiare i mosaici e le pitture pompeiane.
Erano composizioni straordinarie per lui, di prospettive intuitive, di partiture regolari, di un senso di naturalezza che viveva solo nelle abili mani del pittore, pronto a cogliere il particolare, rapito nell'istante.
Eppure il suo occhio si soffermava sulle parti perdute della composizione, quelle in cui è assente il disegno. In quelle parti perdute rientra la coscienza del presente.
Marotta in questo vuole superare quella dialettica che separa il presente dal passato, o che lo interpreta come sollievo o fuga.
Il presente è solo una proiezione di un tempo più ampio: solo gli uomini che non hanno un rapporto con la profondità del pensiero possono pensare diversamente.
Così l'archeologia diventa l'occasione di indagare queste tracce dimenticate, celate sotto la coltre del tempo, ma di fatto sempre compresenti. È una pittura di strati e di livelli soggiacenti, che necessita di una radiografia per essere colta nella sua complessità.
Il territorio vive in vedute simultanee che sommano lo sguardo dal basso di un uomo che attraversa lo spazio, con quelle zenitali e infine satellitari. Sono territori compresenti, dai margini deboli, aperti, dai confini labili, perché il limite sfuma nello sguardo personale.
Questi territori fondono struttura e integrazione, si combinano, entrano uno nell'altro. La pittura di Marotta supera lo sguardo personale, in fondo lo sublima in un'aspirazione universale.